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TROFARELLO,
PEOCIO: 1 Marzo 2003
Stasera è in programma il concerto del "Fratucelli’s Project",
nell’ambito del Tour 2002/2003
della band creata dal talentuoso chitarrista Fabrizio Fratucelli, italica
reincarnazione del Ritchie
Blackmore dei gloriosi tempi che furono. Come noto, infatti, il famoso "Man
in Black" ha oramai
intrapreso da più di un lustro altri sentieri creativi, di carattere
prettamente "menestrelloso"
e medievaleggiante: nulla a che vedere, insomma, con le indimenticabili
e meravigliose pagine
scritte nell’epoca d’oro, che risale ai lontani anni 70.
Il nostro "Blackmore nazionale", dunque, con l’aiuto di
altri validi musicisti, ha voluto ridare
gloria a quella musica, per la gioia dei fans più irriducibili (di
cui fa parte il sottoscritto).
E’ nato così il "Project", che col suo lavoro dedicato
ai Rainbow si è rivelato una Tribute Band
da alta classifica, la cui fama ha addirittura valicato i confini nazionali:
infatti l’album "Rainbow
Eyes" ha avuto uno strepitoso successo ed è stato apprezzato
dai fans di diversi Paesi:
persino Ronnie James Dio ha avuto parole di interesse per il CD…!!!
Ma veniamo a noi. Il concerto, dunque! Premetto che ho già assistito
ad altre esibizioni
del Tour ma, nonostante ciò e nonostante la distanza da coprire,
non vedo l’ora di farmi
coinvolgere in una sana full-immersion di sano e genuino Rock! E poi, cosa
volete che siano
200 km. per chi – come il sottoscritto – ha scorrazzato in lungo
e in largo per l’Europa,
all in the name ok Rock?
Dopo un paio d’ore di auto, riesco a scovare il locale, già
gremito in ogni ordine di posto.
Verso le 23.30 ecco apparire i ragazzi. Sono:
Fabrizio Fratucelli: chitarra
Piero Leporale: voce
Roberto Cassetta: basso
Mirko Melis: tastiere
Alberto Fratucelli: batteria.
Si parte con Kill the King, che mette subito alla prova le corde vocali
di Piero e ci fionda nella giusta atmosfera: gli applausi sono convintissimi
e, guardandomi intorno, mi fa piacere notare che ci sia gente della mia
età, che dimostra un sano entusiasmo all’ascolto di questo
tiratissimo pezzo!
The Man on the Silver
Mountain ci regala splendide ed indimenticate emozioni: il sound risulta
pulito, fedelissimo al 100% rispetto all’originale ed i musicisti
danno la piacevolissima sensazione di essere perfettamente integrati fra
di loro.
Con 16th Century Greensleeves la voce di Piero ci conduce indietro nel
tempo, facendoci
letteralmente sognare: è inevitabile cantare il ritornello ed immedesimarci
nella parte!
L’arpeggio iniziale della splendida Temple of the King rallenta
il ritmo ed introduce le meravigliose melodie di questa struggente canzone:
l’assolo di un ispiratissimo Fabrizio mi
fa venire proprio la pelle d’oca!
E’ ora la volta di Since you’ve been gone, un brano ritmato
e forse un po’ commerciale,
ma di stampo inequivocabilmente hard, che evidenzia la forma smagliante
di un’ottima
sezione ritmica, ben impostata dal duo Roberto Cassetta / Alberto Fratucelli,
il quale mi pare
più tonico e potente del solito!
In questa continua alternanza temporale, ci spostiamo ancora un po’
più indietro, con la
preferita di Fratucelli: Gates of Babylon, stupendamente intessuta con
una sapiente trama
di riff granitici, in un emozionante crescendo che conduce ad un assolo
da brivido;
se chiudiamo gli occhi, ci pare proprio di essere al cospetto del grande
Ritchie e questo è un
vero miracolo che solo ai grandi artisti può riuscire! L’ovazione
sincera che ne scaturisce,
alla fine dell’assolo, rappresenta il migliore riconoscimento per
la perfetta riuscita di questa
canzone.
Con la successiva Still I’m sad, Piero sfoggia tutte le sue immense
qualità, che permettono
alle sue corde vocali di inerpicarsi sulle cime più alte, vietate
ai comuni mortali, con una
potenza semplicemente straordinaria, nel senso che è così
naturale da apparire
soprannaturale…!
Ma non c’è tempo per le mie elucubrazioni mentali: è
il momento di Ariel, tratta dalla più
recente produzione di Ritchie "quando ancora era nel pieno delle
sue facoltà" – commenta
Piero, suscitando l’approvazione dei fans rimasti fedeli al vecchio
stile del Man in Black.
Qui la band riesce a dare una connotazione suggestiva a questo splendido
brano; con quella
sua aria orientaleggiante e quel suo ritmo pieno di energia; ancora una
volta il nostro
guitar-hero riesce a stupirci grazie al suo gusto musicale, che traspare
da ogni suo accordo.
Si prosegue con I surrender, in cui Piero può misurarsi (senza
sfigurare) con Joe Lynn Turner,
il quale a suo tempo aveva interpretato questa brillante canzone; mi viene
spontaneo
cantare, accompagnato dal supporto di una perfetta e ben amalgamata base
strumentale.
La mia sensazione è che questi ragazzi diventino ogni volta più
bravi…!
Con Difficult to cure Fratucelli si cimenta nel famoso classico (la 9°
Sinfonia di L. V. Beethoven),
che Blackmore tradusse, ad arte, in termini rockettari: la realizzazione
è stupenda e viene
apprezzata da tutto il pubblico, che sottolinea con applausi spontanei
le scale virtuose di una
sei corde gestita magicamente. Grande Fabrizio!
Ora Piero torna on stage e ci presenta Stargazer (la mia preferita): il
mio spirito si lascia
trasportare indietro nel tempo, non tanto negli anni 70, ma ancora più
indietro, nell’epoca
faraonica, in mezzo alla sabbia rovente del deserto, e la voce di Piero
si fonde come per
magia con l’urlo di disperazione degli schiavi che sputavano sangue
sotto le frustate…
Va be’, forse mi sono immedesimato un po’ troppo nell’ambientazione
epica che i nostri amici
sono riusciti a creare, ma la potenza e il feeling che avverto sono davvero
fantastici.
E’ ora di tornare ad un passato… un po’ più recente,
con Tearin’ out my heart, un’intensissima
"heavy-ballad" ancora dell’era – Turner, dall’aria
struggente e con una notevole, intensa dose
di feeling; insomma, l’interpretazione di Piero unitamente ai sapienti
arpeggi di Fabrizio sanno
trasmetterci i consueti brividi.
E la pelle d’oca non accenna affatto a diminuire: infatti si resta
in quell’epoca storica con
Death Alley Driver, un pezzo tiratissimo che ci dà l’idea
di quanto siano "quadrati" i ragazzi:
basso e batteria ne scandiscono con immensa maestria il ritmo incalzante
e danno un saggio
di tecnica e velocità con la perfetta esecuzione di questo brano.
Eh, sì: sto pensando che
valeva proprio la pena di fare tutta questa strada!
Nel segno dell’affiatamento della band si prosegue con Miss Mistreated,
che ci regala
emozioni blues a non finire e che ci fa ammirare la performance di Piero,
in un crescendo
continuo ed entusiasmante, fino alla sublimazione del coro conclusivo.
A questo punto, non poteva certo mancare l’inno per eccellenza del
Rock, una pietra miliare
che resterà scolpita nella roccia nei secoli dei secoli: Long Live
Rock and Roll, che ci coinvolge
a partecipare con battimani e cori per celebrare il trionfo dell’immortalità
nella storia della
musica!
La generale eccitazione lascia il posto alla magica atmosfera di Rainbow
Eyes: restano sul
palco Piero e Fabrizio, i quali ci accompagnano in un’atmosfera
da incanto. Scrissi una volta
che la voce di Piero si trasforma in un flauto magico ed ora mi rendo
conto che, forse, questo
è proprio il modo migliore per descrivere i sentimenti che essa
è in grado di suscitare.
Dopo un applauso che pare interminabile, la band decide di scuoterci con
Spotlight Kid,
a proposito della quale devo osservare che – con la classe che è
tipica dei grandi interpreti
(Ronnie James Dio su tutti, naturalmente, in quanto sa essere ammaliante
e melodico,
ma anche dirompente e graffiante) – Piero ci dà l’ennesima
prova della sua versatilità:
qui la sua voce è potente, grintosa e aggressiva e ben si adatta
al ritmo robusto e trascinante
della canzone.
Ora ci spostiamo in una diversa area dell’immensa produzione blackmoriana,
con Stormbringer, di stampo Deep Purple dell’era – Coverdale:
un'altra prova che il vocalist
supera brillantemente: anche in questo caso bisogna sottolineare il perfetto
affiatamento
basso – chitarra (importantissimo in questo pezzo) e l’apporto
fondamentale fornito dalle
tastiere di un ottimo Mirko.
Come mi accade ogni volta che assisto ad un concerto che mi coinvolge
emotivamente
e totalmente, devo ammettere che anche questa volta vorrei che non finisse…
Per fortuna i ragazzi ci fanno l’ultimo regalo, presentandoci una
inaspettata Do you close
your eyes, che mi fa tornare agli indimenticabili anni 70 e ai miei desideri
da adolescente:
guarda caso, quando sognavo di diventare una rock-star mi cimentavo con
questa canzone,
che presenta un’indubbia difficoltà di esecuzione, considerate
le sue tonalità.
Ovviamente la band soddisfa in pieno la nostra fame di Rock, con l’ennesima
generosa
prestazione, che va al di là della semplice esecuzione tecnica:
infatti si vede che i ragazzi si
divertono, ci mettono l’anima e riversano nelle loro note tutta
la loro passione; e noi, vecchi
inguaribili rockers, lo avvertiamo in pieno e per questo siamo grati ai
nostri eroi per le
indescrivibili emozioni che ancora una volta hanno saputo infonderci.
Ora mi aspetta un lungo viaggio di ritorno, ma non mi preoccupo perché,
grazie all’adrenalina
che ha cominciato a circolarmi nelle vene durante lo show, resterò
sveglissimo rivivendo le
splendide vibrazioni emotive del concerto.
Il miglior complimento che possa fare alla band, prendendo in prestito
uno slogan dal mio
idolo R.J. Dio, è questo: YOU ROCK !
Marcello Catozzi
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